Wednesday, November 7, 2007

Il "capitale umano" e la qualità come fattori di crescita (seconda parte): l'emersione delle competenze inespresse

Desidero continuare una discussione introdotta ieri sull’opposta visione che si ha della vita aziendale da parte di dirigenti ed impiegati, ma soprattutto di come tali valutazioni si riflettano sulla produttività aziendale.

Personalmente credo che occorra fare di più a sostegno della valorizzazione del cosiddetto “capitale umano”, e non solo dichiararlo nelle interviste sui giornali. Ovviamente il mio discorso ha carattere generale e non vale per molte realtà in cui invece esiste una politica di forte coinvolgimento a tutti i livelli.

Sun Tzu, celebre guerriero giapponese, il cui manuale sulla guerra è stato adottato dai manager di tutto il mondo come testo di riferimento, citava tra gli elementi che consentono di vincere le battaglie e le guerre, la capacità di conoscere e motivare i propri uomini, affidandosi poi ai più brillanti come quadri intermedi.

Già sembra banale...

Il medesimo artitolo di Miojob cita l’opinione di Robert Jackall, professore di sociologia al Williams College nel Massachusetts: “le trasformazioni delle grandi imprese hanno mutato anche il ruolo dei manager. Per i manager moderni, alle prese con lotte di potere e fusioni, scrive Jackall in "Labirinti Morali", la preoccupazione principale è diventata quella di capire dove tira il vento. Più che la creatività e la pianificazione aziendale, dice il sociologo, per loro conta la capacità ad adattarsi a qualsiasi stravolgimento nelle gerarchie di potere. Le decisioni è meglio non prenderle affatto”.

Purtroppo sembra che i concetti contenuti ne “l’Arte della Guerra” vengono più spesso utilizzati come strumento di competizione interna, ed in particolare è seguito quello di non affrettarsi a combattere il nemico frontalmente, ma approfittare dei suoi errori. Come dire... attendi, non esporti...

Ma, come direbbe Carlo Lucarelli spalancando il palmo delle mani, “questa è un’altra storia”... e ne parleremo in altro post...

Tornando alla valorizzazione della componente umana ricordo che, in una recente intervista/racconto su Marchionne (manager i cui risultati non possono essere contestati). si legge “Nelle altre stanze del quartier generale Fiat, lungo i corridoi, dove erano abituati a amministratori delegati che non andavano oltre il buongiorno e buonasera, adesso Marchionne è considerato una specie di marziano. Lo temono. Lo stimano..... “.

Il suo impatto con la Fiat infatti viene cosi raccontato dallo stesso Marchionne “"Ho cercato di organizzare il caos. Ho visitato la baracca, i settori, le fabbriche. Ho scelto un gruppo di leader e ho cercato con loro di ribaltare gli obiettivi per il 2007."

Quindi il punto di partenza è stato quello di sconvolgere gli equilibri cristallizati, individuando e puntando sulle potenzialità represse durante le precedenti gestioni, manager più giovani e motivati, quelli che sono diventati poi i “Marchionne Boys”.

"Se ho un metodo - dice ancora Marchionne - è un metodo che si ispira a una flessibilità bestiale con una sola caratteristica destinata alla concorrenza: essere disegnato per rispondere alle esigenze del mercato. Se viene meno a questa regola è un metodo che non vale un tubo. Ai miei collaboratori, al gruppo di ragazzi che sta rilanciando la Fiat, raccomando sempre di non seguire linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno prevedibilmente anche i concorrenti.".

E pensare che a me invece è capitato di sentire qualche vecchio manager dire che è meglio essere dei buoni “follower”...

[ continua... ]

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